Per Storie di CaricaSilvia Valsecchi ci ha raccontato come la dedizione e il sacrificio abbiano portato a rendere la sua passione il percorso della sua vita, come ciclista professionista. La forza e la carica, partendo da Costa Masnaga, le hanno fatto girare il mondo…
Ciao Silvia, Cosa provi quando sali in sella alla tua bici?
La bici mi dà quel senso di libertà e indipendenza che altrimenti non sento. Senza la bicicletta mi sento legata all’auto, al traffico, agli orari dei mezzi pubblici etc.
Ricordi l’istante esatto in cui hai capito di poter cambiare direzione nella tua carriera sportiva?
Certo. Era un inverno e io ero quasi intenzionata a smettere di correre in bici. Ero sulle tribune di un velodromo e stavo assistendo a una gara, quando ho sentito un grande piacere ed energia che mi arrivava da ciò che stavo guardando. Mi si è presentata a quel punto la possibilità di provarci, di continuare ad allenarmi per tutto l’inverno, facendo attività su pista. Ci ho provato, ho messo tutta me stessa, e i risultati sono arrivati.
Le sensazioni della prima vittoria su pista?
La prima vittoria è stata durante un inseguimento individuale, quindi correvo da sola, è stata una gioia immensa e una nuova consapevolezza: di solito quando si vince in squadra si dividono gioie e dolori. Vincere correndo da sola mi ha regalato la bellissima sensazione di avercela fatta solo con la mia energia, grazie ai sacrifici e agli allenamenti fatti.
Come ti carichi prima di una gara?
Non ho rituali particolari. Il giorno prima della gara di solito voglio stare tranquilla e divertirmi. Un’oretta prima della competizione invece mi piace stare da sola, e se conosco il percorso lo ripercorro mentalmente focalizzandomi sulle sue caratteristiche.
Ci hai raccontato di essere coinvolta in progetti sociali legati al tuo lavoro, dedicati in particolare ai valori di solidarietà sportiva nell’ambito dello sport femminile. Cosa credi ancora possa cambiare nel mondo dello sport in termini etici?
Credo che il percorso intrapreso da varie associazioni dilettantistico-sportive stia dando i suoi frutti: si stanno creando molte realtà sportive dedicate ai ragazzi più giovani, sui quali bisogna necessariamente puntare tutte le energie. Vedo molta dispersione nel mondo dello sport giovanile, è quindi importante che il focus sia su questo segmento. Forse le motivazioni di tanti abbandoni di carriere sportive si possono trovare anche in un discorso culturale legato alla sicurezza stradale: molti genitori hanno paura a lasciare i propri figli oggi liberi di circolare in bicicletta per la città, rispetto ai miei tempi mi pare ci sia un apprensione maggiore. Per questo motivo forse una maggiore consapevolezza e rispetto del codice della strada, e magari l’organizzazione per i ragazzi di allenamenti su percorsi protetti, potrebbe aiutare ad avvicinare anche i più giovani a questo sport. Ricordiamoci che il ciclismo non è solo uno sport ma è prima di tutto uno stile di vita.
Un messaggio a chi come te ha capito di poter cambiare rotta?
Voglio dire a tutti, qualsiasi sia il loro settore di competenza e desiderato, che non è mai troppo tardi per cambiare e mettersi alla prova. Io ho cambiato la mia carriera a 32 anni e nello sport questa è un’età in cui si pensa che i giochi siano fatti. Non è così.
Cambiamento per te è…
Lasciar andare le certezze per intraprendere un percorso che in quel momento ci trasmette energia, al di là della paura di perdere le certezze acquisite.